#Sorrisiall’Orizzonte: la storia di Eugene, rivoluzionario se stesso
Mi chiamo Eugene ho 26 anni e provengo da un paese della Guinea Conacry. Sono partito nel 2013, perché in Guinea c’era un partito all’opposizione a cui ero legato (UFR il nome) e anche se formalmente è una repubblica, non è democratica. Il governo è composto da tanti partiti, formatasi alla morte dell’ultimo presidente ed è stata governata per più di cinquant’anni solo da due presidenti.
Nel 2010 c’è stata la prima elezione democratica, non troppo trasparente, ma pur sempre democratica. Ora il presidente è Alpha Condè che ha fatto parte dell’opposizione per più di trent’anni. Secondo me lui ha qualche difetto come tutti gli esseri umani, ma ha fatto anche cose buone. Nonostante ciò, la corruzione prevale e non è facile cambiare le cose. Non è facile smettere di essere corrotti, dall’oggi al domani. Me ne sono andato perché io mi ribellavo a questo.
In Guinea non c’è libertà.
Durante una manifestazione politica a Conakry, sono stato arrestato e portato via dalla polizia e da lì è iniziata la mia lunga fuga che mi ha forzato ad emigrare. Mio padre non era d’accordo con la mia decisione di partire, di spostarmi, avevo già un lavoro che mi aspettava dopo i miei studi in “Marketing e Commercio”. Avrei dovuto prendere le redini della sua azienda di costruzioni. Mio padre, è ancora molto arrabbiato con me per questa mia decisione, lo sento poco anche ora, da quando sono partito. Ho anche tre sorelle, che sento spesso, sono il maggiore e sono molto protettivo nei loro confronti. Mi mancano molto.
Sono scappato durante la notte dalla Guinea, ho attraversato la Costa d’Avorio, dove mi sono fermato qualche tempo per lavorare come meccanico, poi successivamente sono ripartito passando per il Burkina Faso, poi il Niger; mi sono imbarcato in Libia per arrivare infine in Italia.
In Libia sono stato sotto caporalato per diversi mesi, lavorando nei campi sotto al sole cocente senza sosta. Non avevamo il tempo per la pausa pranzo o per rinfrescarci con acqua fresca. Avevamo un salario bassissimo, ma tra il lavoro in Costa d’Avorio, questo in Libia e qualche soldo che avevo da parte sono riuscito a racimolare il tutto per imbarcarmi alla volta dell’Italia.
Il viaggio in mare è stato abbastanza difficile per il maltempo, molte persone dalle onde alte si sentivano spesso male, i bambini piangevano per la paura. Siamo sbarcati a Lampedusa dopo che una ONG ci ha salvati in mezzo al mare; siamo stati sottoposti alle prime visite mediche e alle procedure di riconoscimento.
Sono stato subito trasferito in un CAS in Basilicata in provincia di Potenza. Per un anno è stata la mia casa , ho conosciuto tante persone che sono diventate poi dei cari amici che quando posso vado a trovare. Nel centro accoglienza mi sono iscritto subito al corso di italiano per stranieri, inoltre ho seguito il corso di alfabetizzazione interno alla struttura. Non sapevo l’italiano quando sono arrivato in Libia, ma c’era un signore camerunese che diceva sempre “Buongiorno”. E’ stata la prima parola che ho imparato.
Ho fatto richiesta di Protezione internazionale; nel frattempo nel centro, oltre alla scuola, ho seguito i laboratori di fotografia, di sartoria e di agricoltura.
La mia storia di vita è stata ascoltata dalla Commissione Territoriale che mi ha riconosciuto la Protezione Sussidiaria, così sono stato trasferito in uno Sprar (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati) in Calabria, in provincia di Catanzaro.
In questo centro ho potuto riprendere con la scuola e il corso di alfabetizzazione interno. Ho potuto iniziare un tirocinio formativo in un’azienda concessionaria di auto come meccanico. Dopo i tre mesi di tirocinio formativo, ho firmato un contratto di lavoro.
Sono 4 anni che sono in Italia, mi è sempre piaciuta. Ne avevo sentito parlare molte volte. Sono un tifoso della squadra di calcio italiana. Sono cresciuto in Italia. Senza l’Italia non so dove sarei a quest’ora, forse in un altro posto, vicino a Dio. Vorrei integrarmi nella società italiana, soprattutto avere una laurea italiana. Vorrei ancora rimanere qui a lavorare; l’Italia per me ha fatto tanto, è stata molto accogliente e le sono molto riconoscente. Voglio quindi, lavorando, dare il mio contributo in questo paese.
Nonostante ancora la vita in Guinea sia difficile, mi manca molto il mio paese. La mia famiglia è sempre nei miei pensieri e nel mio cuore, come anche la gente con la loro ospitalità.
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