#IlSorrisodelfuturo: Internet of Scientific Things: quando gli oggetti Smart aiutano la ricerca
“Dai tuoi valori sembra che tu abbia avuto una giornata stressante. Ho pensato potesse farti piacere trovare un bagno caldo pronto al tuo arrivo a casa. Posso procedere?”
Può darsi che un domani non troppo lontano potremmo leggere una frase come questa sul nostro smartphone, connesso ad uno smartwatch che rileva il nostro stato psicofisico e ad una vasca da bagno smart che si riempie d’acqua da sola mantenendone la temperatura. E se vi sembra che abbia ripetuto troppe volte “smart” in questa frase, beh, avete ragione: il trend tecnologico si sta muovendo verso un contesto più “intelligente” – smart, appunto – capace di leggere i dati provenienti da tutti gli oggetti con cui interagiamo ogni giorno e di correlarli tra loro.
Gli Smart Object che riempiranno le nostre Smart Home quando vivremo nelle Smart Cities, dovranno connettersi alla rete internet per poter interagire tra loro e lavorare in sinergia, in un’ottica denominata IoT – Internet of Things.
Connettere tutti gli oggetti in un mondo IoT è sicuramente vantaggioso: a chi non piacerebbe un letto che si rifà da solo mentre ci stiamo facendo la doccia? Basterebbe connettere letto e doccia tra loro. Ma come potrebbe il letto capire che non è rimasto ancora qualcuno su di lui, dopo che ci siamo alzati?
In quanto Smart Object, questo letto dovrà essere dotato di sensori che rilevino stimoli complessi: ora del giorno, peso sul materasso, temperatura. E, intanto che ci siamo, perché non aggiungere dei sensori che monitorino il nostro sonno? Attraverso la percezione galvanica, il ritmo cardiaco e il movimento del corpo il letto saprà indicare la qualità del nostro sonno e rilevare l’insonnia, utilizzando strategie (come la regolazione della temperatura in base all’ambiente circostante) che ci aiutino a combatterla.
Immaginiamo ora di essere affetti da apnea notturna, e che il letto smart sia in grado di rilevare quando smettiamo di respirare, per svegliarci prima di rischiare il soffocamento: non sareste subito grati a questo “Smart Medical Object”?
Facciamo un passo ulteriore: immaginiamo che lo “smart bed” sia davvero nelle case di tutti e che i dati dei suoi ospiti vengano indirizzati ai principali enti di ricerca scientifica, che potrà così ottenere delle informazioni preziose che non riuscirebbero mai a reperire nei propri laboratori. Ecco che lo Smart Medical Object si è trasformato prima in uno “Smart Scientific Object”.
Sulla prestigiosa rivista scientifica Nature, la neuroscienziata teorica ed imprenditrice Vivienne Ming propone proprio questo nome, IoST – Internet of Scientific Things, per evidenziare quanto questa categoria di Smart Objects diventerebbe importante rispetto a quelli della più “normale” IoT, al punto da dover essere raccolta in una categoria a sé.
“Immagina se i ricercatori potessero accedere ai dati di smartphone, smartwatch […] sparsi in tutto il mondo. Aggiungi un’Intelligenza Artificiale che sappia scovare le ricerche scientifiche più rilevanti per il tuo ambito. […] Cosa accadrebbe se il mio software di neuroimaging (Socos Labs, di cui lei è fondatrice ndr) fosse inserito in una piattaforma IoST, rendendo i dati accessibili non solo al mio laboratorio ma a qualsiasi altro ricercatore in tempo reale? O se si potesse scoprire chi sta lavorando a un progetto simile al tuo per unire le forze? Immagina.”
[Nature, 553, 532-534 (2018)]
In un mondo ideale, questa possibilità sarebbe straordinaria: si potrebbe accelerare la ricerca, renderla più efficiente ed efficace, utilizzando dati poco costosi da reperire e in grande quantità. Da un punto di vista più oggettivo, però, sembra che un sistema massivo di dati sarebbe estremamente suscettibile: non solo potrebbe contenere bug che diano accesso ai nostri dati più sensibili, ma potrebbero essere utilizzati dalle big companies per fini commerciali e di prodotto, come la stessa Ming accenna al termine dell’articolo. Ma non è tutto qui.
Tralasciando il dettaglio del “chi” potrebbe creare una piattaforma IoST massiva e unica per tutto il mondo (con evidenti problemi etici, di privacy e di libero mercato), quello che sfugge è l’utilizzo dei dati mondiali decontestualizzati e raggruppati senza tenere conto delle variabili più distanti che, nonostante il software potrebbe ritenere non correlate, in realtà la mente umana potrebbe comprenderne la correlazione.
Un sistema massivo di dati quantitativi su scala mondiale renderebbe molto più difficile la sua interpretazione qualitativa. Ottenere i dati mondiali del sonno di tutti gli esseri umani potrebbe far perdere di vista il fatto che il sonno sia correlato a tantissimi fattori, tra cui lo stato emotivo della persona, le sue credenze, obiettivi e interpretazioni. Anche il sonno migliore dal punto di vista dei dati potrebbe essere interpretato dalla persona come poco riposante, se il soggetto è stressato per qualche ragione. E la temperatura perfetta per far dormire bene la media della popolazione potrebbe non rilevarsi utile se la persona è particolarmente sensibile al caldo/freddo.
Il problema dei dati quantitativi è che necessitano di continui scontri con la realtà qualitativa per risultare davvero efficaci. I dati permettono di descrivere una realtà media, stimata, che non si cura delle eccezioni che si trovano ai lati della campana gaussiana. Se la scienza serve per descrivere il mondo in modo sempre più accurato (e, solo in secondo luogo, per migliorare le condizioni da cui partiamo), un sistema massivo dei dati applicato all’essere umano rischia di cadere nell’eccessiva oggettivizzazione dell’uomo, privandolo della sua unicità sia in termini fisici che emotivi.
Il rischio è di creare farmaci, strategie e strumenti utili solo alla media che i dati ci consentono di vedere, ignorando una realtà molto più complessa.
Con ciò non intendo demolire l’incredibile utilità che potrebbe avere un progetto di IoST, ma soltanto sottolineare che, al di là delle problematiche etiche e tecniche, una quantità così enorme di dati potrebbe esacerbare un vecchio problema insito nella scienza stessa e sempre più figlio dei nostri tempi: quello di eliminare le variabili qualitative – perché ritenute meno affidabili – e ridurre il tutto ad un’unica media.
Nonostante ciò, l’IoST potrebbe davvero cambiare il modo in cui potremo conoscere l’essere umano, ed è per questo che ritengo doveroso prendere in considerazione tutte le possibilità che un sistema del genere potrebbe offrirci.
Tuttavia, così come i soggetti sperimentali classici partecipando agli esperimenti in modo volontario per il bene della scienza, così anche io preferirei che mi chiedessero l’eventualità di poter utilizzare i miei dati per fini scientifici. Probabilmente, ci metterei la firma.
Annalisa Viola
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