#Sorrisiall’Orizzonte: Masum – Il riscatto della mia vita
Eccomi mi chiamo Masum e ho 20 anni, provengo da un paesino del Bangladesh. Tutto è iniziato con la malattia di mio padre, morto per un tumore quando avevo 16 anni; abbiamo preso un prestito per farlo curare e quando ci ha lasciato ho cercato di lavorare, ma guadagnavo troppo poco, così mi hanno proposto di partire. Il viaggio è stato pagato con ulteriori debiti e con la vendita della casa della mia famiglia. L’agente del mio villaggio mi ha mandato nella capitale, Dhaka, e dopo tre giorni in un hotel, insieme ad altri clienti, mi hanno portato all’aeroporto. Il viaggio è durato due giorni: Dhaka, Dubai, Amman, Istanbul. Quattro scali, in cui sono passato senza mostrare nessun documento.
Tutto cambia quando siamo arrivati all’aeroporto di Mitiga di Tripoli, Libia; lì sono iniziate le sorprese. Dei libici ci aspettavano già sulla pista, ci hanno prelevato e portato fuori città; per un mese io e altri venti persone siamo stati chiusi in una stanza sotto terra. Ho festeggiato i miei 18 anni dentro questa “prigione” con una pagnotta e una manciata di riso al giorno e la paura costante di essere ucciso. Ci ricattavano e dovevamo chiamare le nostre famiglie per chiedere soldi. Io sono stato costretto a chiamare mia sorella per farmi mandare soldi per pagare il riscatto, questo ha provocato un nuovo indebitamento per la mia famiglia.
Appena uscito, mi hanno però rivenduto ad un commerciante, che mi ha costretto a lavorare 18 ore al giorno nel suo magazzino, minacciandomi quando chiedevo di essere pagato. Un ragazzo nigeriano che ho conosciuto in questo magazzino, mi ha proposto di proseguire il viaggio e io ho accettato. Una notte abbiamo raggiunto un hangar di Sabratha, dove siamo stati due giorni prima di salire sul gommone. Il debito che avevo era salito a 5mila euro, una cifra che mio padre guadagnava in anni di lavoro prima che l’erosione del fiume si mangiasse quasi tutti i nostri terreni. Ormai ero io l’uomo della mia famiglia e dovevo trovare marito alle mie sorelle perché non riuscivo più a mantenerle; speravo di trovare un futuro in Italia.
La difficoltà di vivere di agricoltura, in un ambiente degradato dai cambiamenti climatici, ha portato a fuggire molte persone, tra cui me.
Il viaggio sul gommone è stato difficile per le condizioni del mare, abbiamo rischiato anche di affondare. Dopo 2 giorni di viaggio siamo arrivati al porto di Lampedusa. Ci hanno aiutato i volontari della Croce Rossa Italiana e delle ONG presenti. Mi hanno trasferito in un Cas (Centro di Accoglienza Straordinaria) nella provincia di Palermo per qualche mese durante il quale ho potuto fare domanda per la Protezione Internazionale e fare il corso di Alfabetizzazione per imparare la lingua italiana. Ho stretta amicizia con l’equipe del centro e con gli altri ospiti.
Dopo aver sostenuto l’audizione in Commissione Territoriale ed aver ottenuto la Protezione Internazionale, sono stato trasferito in Calabria in uno Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) della provincia di Catanzaro. Nel centro sono stato ospite un anno, in cui ho ripreso i corsi di alfabetizzazione, seguito laboratori, e partecipato ai colloqui con l’equipe. Durante il mio tempo libero, aiutavo le signore del paese a portare la spesa a casa e i signori in qualche lavoretto quotidiano. Ho stretto molto amicizie in paese che tuttora coltivo.
Durante l’anno ho sentito spesso la mia famiglia e ho avuto sempre paura che le minacce verbali da chi mi aveva prestato i soldi, potessero tramutarsi in fisiche. Spero di riuscire ad aiutarli trovando un lavoro soddisfacente. Ora sono da poco uscito dal progetto SPRAR e abito insieme a due miei amici. Per ora mi destreggio in qualche lavoretto saltuario e una buona parte di quello che racimolo lo mando alla mia famiglia. La strada per il mio riscatto è ancora lunga, ma ci riuscirò; lo devo alla mia famiglia per tutti i sacrifici che hanno fatto per me.
A cura di Elisa Servello
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