Il Team del Sorriso: Elisa Servello
Chi sei? Descriviti.
Sono Elisa Servello, una ragazza laureata in Psicologia Clinica a cui piace donare sorrisi e aiutare l’altro. Sono una ragazza curiosa del mondo e del diverso, intraprendente e determinata, a cui piace scoprire le bellezze della vita.
Cosa fai, cosa hai studiato?
Adesso sto seguendo un Master di Secondo livello in “Malattie neurodegenerative e demenze”, ho appena terminato il tirocinio post-laurea magistrale, nell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro (Consultori Familiari e Organismo Immigrazione) e nei Centri di Accoglienza per migranti del territorio della provincia di Catanzaro. Ho studiato Psicologia Clinica a Roma, Università Lumsa.
Quando hai iniziato questo percorso, avresti mai pensato di lavorare con i migranti? Come hai iniziato a farlo?
I migranti sono sempre stati “di famiglia”, in quanto mia madre dirigeva il Consultorio di Badolato (CZ), dove nel dicembre 1997 si è arenata la grande nave Ararat, che portava con sé oltre ottocento profughi. Questo sbarco, successivo ad un altro avvenuto pochi mesi prima, ha segnato l’inizio degli sbarchi massicci sulla costa ionica. Io avevo 6 anni e da allora ho sempre sentito parlare di migranti. Diventata più grande, ho sentito il desiderio di svolgere attività di volontariato, non ricordo con precisione quando, ma è stato quasi naturale farmi coinvolgere nelle chiamate improvvise che necessitavano di supporto operativo. In seguito, la frequenza del Consultorio mi ha permesso di entrare in contatto con le storie dei migranti e con le varie culture di appartenenza. Da lì il passo è stato breve verso la collaborazione volontaria negli ambulatori socio-sanitari, dedicati alle persone vulnerabili, compresi i profughi.
Che capacità reputi si debbano avere per fare questo tipo di lavoro? Cosa ti ha lasciato a livello personale un lavoro simile?
Non ci vogliono doti particolari, di sicuro bisogna essere aperti al nuovo, a ciò che è diverso da noi come cultura, società e religione. Non farsi catturare da stereotipi e pregiudizi, questo è fondamentale. Basta un sorriso e si può concludere la propria giornata felici di essere riusciti ad aiutare il prossimo. Tutto ciò ti arricchisce molto, sia a livello personale che professionale. Io da quando ho iniziato questo percorso mi sento una persona migliore, più attenta e soddisfatta di aver avuto la fortuna di conoscere tante belle persone che mi hanno donato tanto.
La storia che ti ha colpito di più?
Sono tante le storie che ti colpiscono, ma se dovessi sceglierne una, direi che è quella di un ragazzo dell’Afghanistan che è partito dal suo paese a causa di incursioni politiche e religiose. Grazie allo zio, tessitore di tappeti, è riuscito ad imparare il mestiere di sarto, ed oggi vive nel Nord Italia e possiede una sua sartoria ben avviata. Questo è l’esempio di un’integrazione ben riuscita, anche se il suo dolore non scomparirà mai, magari si attenuerà e riemergerà nei momenti di particolare stress ma ora ha le risorse psichiche per contenerlo. E’ così, il trauma lascia segni indelebili con cui devi imparare a convivere.
Come ha reagito la popolazione locale davanti a questo fenomeno?
La popolazione locale all’inizio (1997 in poi) ha dimostrato molto trasporto emotivo e fattivo, con gesti di grande solidarietà, anche di successivamente quando hanno attivato diversi centri di seconda accoglienza, denominati SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti asilo e Rifugiati).
Le titubanze si sono rilevate di seguito, circa due anni fa, all’attivazione di numerosi CAS (Centri di Accoglienza Straordinari), centri in cui vengono trasferiti i profughi subito dopo lo sbarco, specie per quelli dove vengono accolti grossi numeri di persone. Ciò che destabilizza i residenti, è la difficoltà che hanno gli operatori dei grandi CAS, nel gestire un così alto numero di utenza, fra essi anche situazioni difficili. In ogni caso nessuna grande ritrosia, anche perché non sono stati rilevati comportamenti destabilizzanti per la popolazione. Ad ogni modo intorno ad essi, i gruppi di volontariato e gli enti locali, oltre che la sanità, hanno stretto un cordone di supporto così da contenere eventuali necessità. E’ anche vero però che il mondo mediatico influenza molto la popolazione specie quando allarma e ingigantisce i fenomeni, spesso per catturare l’attenzione anche con messaggi non completamente veritieri. Cresce così la mancanza di obiettività e si tende a leggere la realtà in modo sommario, aumenta in questo modo l’intolleranza verso l’altro senza sapere profondamente di chi si parla e senza conoscere davvero il ruolo dei paesi ricchi nei territori di questi profughi. Tutto questo si riversa nella vita quotidiana di ognuno di noi. In questo territorio comunque la popolazione locale si è “educata” al nuovo, aiuta i ragazzi ad integrarsi, ed i centri di accoglienza funzionano abbastanza bene, cosicché anche le piccole disfunzioni possono essere contenute.
Cosa vorresti dire ai nostri lettori?
Ai vostri lettori posso dire che queste esperienze ti portano a vedere le cose con occhi nuovi, ti portano a scoprire culture, società e religioni diverse. Ti arricchiscono molto. Quando avete dubbi andate ad indagare di persona, non seguite necessariamente ciò che dice la massa o i mass media. Seguite sempre il vostro pensiero e aprite il cuore all’altro. Così avrete modo di vivere una vita piena di sorrisi e soddisfazioni. Il problema sta nella necessità di migliorare la gestione dei flussi dei profughi e non nelle loro persone.
Io sono grata a tutte le persone migranti che ho incontrato fino ad oggi, perché mi hanno fatto diventare la persona che sono e spero di proseguire nel percorso di conoscenza ed arricchimento delle culture e delle varie alterità.
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