NAO, il robot capace di autocoscienza
Un altro passo per l’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence, o AI): i robot sono capaci di autocoscienza. Ecco l’esperimento con NAO, il robottino francese creato dall’Aldebaran Robotics.
Il piccolo NAO, un robottino che ho avuto il piacere di conoscere personalmente presso l’Università degli Studi di Parma, è stato progettato dall’Aldebaran Robotics per interagire a livello comunicativo ed emotivo con le persone di tutte le età. Fa parte di quella categoria, insieme all’italiano ICub dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) di Genova, di “robot da compagnia”, che presto entreranno nelle nostre vite quotidiane per aiutarci con i compiti di tutti i giorni. NAO, nello specifico, non è solo capace di educare bambini a scuola, intrattenere gli anziani, educare persone affette da autismo all’interazione sociale, fare il fisioterapista nella riabilitazione di bambini operati alla spina dorsale e ridurre l’agitazione dei bambini durante la somministrazione di vaccino anti-influenzale. È persino capace di autocoscienza, e lo prova un esperimento eseguito da Selmer Bringsjord, ricercatore del Politecnico Rensealer a New York, e che verrà esposto il 31 Agosto di quest’anno al simposio sulla robotica “RO-MAN” sita a Kobe, in Giappone.
Il video dell’esperimento
Come si è svolto l’esperimento?
Come potete vedere dal video, tre NAO sono stati programmati per svolgere insieme un indovinello che si è liberamente ispirato alla storia dei Tre saggi del Re (The King’s Wise Men, che potete leggere qui). L’indovinello originale prevedeva che un Re, volendo sapere quale dei tre saggi fosse il più saggio, fece indossare loro un cappello. I tre potevano vedere il cappello altrui, ma non il proprio. Quindi il Re chiese di indovinare il colore del proprio cappello, tenendo conto che almeno uno di questi era blu e che ognuno aveva uguali possibilità di indovinare. Vinse il saggio che, vedendo che entrambi i cappelli altrui erano blu, dedusse che anche il proprio lo era, siccome le possibilità di indovinare erano paritarie.
Per NAO, l’indovinello era diverso soltanto nella forma: ai tre automi è stato detto che gli è stata somministrata una tra due pillole, una che rende incapaci di parlare (dumbing pill) e l’altra che non ha alcun effetto, ma non sanno quale delle due pillole hanno preso. Dopo aver toccato la testa di ciascun robot (e aver premuto il bottone di silenziatore vocale solo a due di loro), il ricercatore ha chiesto loro “Quale pillola avete ricevuto?”. Tutti e tre i NAO cercano di rispondere “Non lo so”, ma solo quello che non è stato silenziato riesce a dirlo davvero. Dopo essersi reso conto di aver parlato (perché NAO è in grado di udire la propria voce), il NAO non-silenziato risponde autonomamente: “Scusa, ora lo so. Ho la prova di non aver ricevuto la dumbing pill“.
Ecco una prima forma – piuttosto primitiva – di autocoscienza: NAO è in grado di prendere atto autonomamente della propria capacità di parlare, e decide di sua spontanea volontà di manifestarlo per risolvere l’indovinello.

Certo, siamo ancora lontani dall’autocoscienza vera e propria, tutta umana: lo stesso Bringsjord ha dichiarato, sulla rivista New Scientist, che NAO, nonostante sia in grado di svolgere un difficile indovinello come questo, non abbia ancora alcuna speranza di riconoscere il proprio piede. Questo perché, secondo il ricercatore, i robot non sono ancora in grado di unire tutta l’enorme mole di informazioni che ricevono per creare un quadro unico e coerente del mondo. E non solo: quello che ai robot manca, e sempre mancherà, è l’autocoscienza fenomenologica. Osservare un bel panorama non porta l’uomo a una mera accozzaglia di informazioni visive, come accade nel robot, ma scatena una serie di immagini, associazioni, ricordi ed emozioni che sono proprie dell’uomo.
Senza di questo tipo di autocoscienza, i robot umanoidi non sono altro che “zombie filosofici”, in grado di emulare la coscienza, senza davvero possederla.
Annalisa Viola
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