Dalla pellicola al cuore: l’ultimo sorriso per Michel Du Cille.
Il rispetto è una delle ultime e uniche cose che il mondo può offrire a un persona che è morta o sta per morire. Ma la fotocamera stessa a volte sembra un tradimento di quella dignità che si spera di offrire (…) Come si dà dignità all’immagine di una donna che è morta e giace a terra, ignorata, non coperta e sola mentre la gente passa, o solo guarda da lontano? Ma credo che il mondo debba vedere gli effetti orribili e disumani dell’Ebola. La storia va raccontata, così andiamo in giro con dolcezza e evitando intrusioni estreme (…) Raccontare Ebola vuol dire essere vicini, a distanza di scatto, con la devastazione del virus. Questo lavoro mi ha portato faccia a faccia con un altro aspetto dis-umanizzante del virus: la paura.
Sono queste le parole di Michel Du Cille, veterano della fotografia, della poesia fatta scatto. Reporter del Washington Post, origini giamaicane, due volte Premio Pulitzer per la fotografia. Un gigante, artisticamente ed umanamente parlando. Michel è stato stroncato da un infarto, a 58 anni, mentre lavorava ad un progetto sul virus Ebola.
Viene a mancare un pilastro, una sorgente d’amore puro; il più grande pittore del trionfo e del disastro dell’uomo si spegne, e io ci tengo a ricordarlo. I suoi scatti hanno raccolto la nostra storia, le nostre debolezze, i nostri amori.
Grazie Michel, è stato bello poterti vivere.
Un ultimo sorriso, tutto per te.
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