Jailhouse rock!
Siamo ad Enna, e i detenuti del carcere stanno riprendendosi al suono di “Happy”, il noto tormentone di P.Williams. Scene di vita carceraria, scene del quotidiano. Stirano, mangiano e si allenano; che è un poco quello che corrisponde alla nostra immagine stereotipata del carcerato.
Questo video ha sicuramente scatenato molte polemiche. Si è dubitato del sistema giudiziario; si sono accusate le guardie e il Direttore della struttura di essere troppo “indulgenti”. “Hanno commesso dei crimini e voi li lasciate ballare”. Altri hanno additato l’iniziativa come un soddisfacente esempio di integrazione, di svago carcerario; un’azione positiva, indice di un clima rilassato e non in balia della violenza.
Ben sapendo la delicatezza dell’argomento, me ne assumo la responsabilità ed esprimo la mia opinione. Non ho mai conosciuto un criminale, se così vogliamo chiamarlo. Non so cosa hanno commesso questi uomini, come non so quanti anni debbano ancora scontare o cosa sia loro successo “prima”. Penso che il nostro sistema giudiziario abbia molte pecche, che spero vengano risanate il prima possibile.
Ma so anche che il sovraffollamento, dietro le sbarre, è arrivato a livelli estremi, e so che in Europa siamo uno dei paesi con il più alto tasso di suicidi dietro le sbarre. E so, per quanto possa urtare il nostro moralismo, che una vita è una vita. E non abbiamo nessun diritto di prenderla; nemmeno per vendetta. So che che anche i carcerati hanno una famiglia. Mogli che probabilmente li hanno abbandonati, figli che forse nemmeno si ricorderanno di avere un padre, che dimenticheranno le sue mani e la sua voce, crescendo senza di lui. E se io fossi una di questi figli, vorrei sapere che mio padre, in mano alla giustizia, è ancora vivo. Non lo vorrei ridotto come i prigionieri di Guantanamo, né seviziato come ad Abu Ghraib. Lo vorrei vivo, sorridente per me e consapevole dell’errore commesso.
Così, a mezza bocca, sorrido alla vita ;che inciampa, che prova a rialzarsi e che non smette mai, anche dietro le sbarre.